Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia

Il Carnevale attraverso le maschere rituali

Numerose testimonianze conservate nei musei confermano la pratica popolare del travestimento durante il Carnevale.

A Cussigh, Natura morta con bronzino e maschere, 1959, Tolmezzo, Museo carnico delle arti popolari Michele GortaniMascherare il volto e il corpo significa perdere la propria individualità per assumere un ruolo diverso, a volte portatore di nuove qualità e poteri superiori. Il travestimento e la trasformazione fanno parte di una ritualità antichissima, legata al ciclo della natura, alla rigenerazione e all’affermazione dell’uomo sulle forze negative. Le maschere risentono di questo retaggio antico e concedono all’uomo nel Carnevale la possibilità di uscire dalla quotidianità, fatta di fatiche, lavoro e regole sociali, per interpretare un personaggio simbolo legato all’immaginario di un popolo. Per questo le maschere si differenziano anche in base al luogo d’origine.

Le maschere del Museo etnografico Mario Ruttar a Grimacco risalgono alla metà del XX e sono in latta, ricavate dal riutilizzo dell'alluminio delle gavette militari: questo materiale si riscontra soltanto nelle maschere della zona slava. Quelle del Museo dell'arte e civiltà contadina di Andreis, della prima metà del XX secolo, hanno barba e capelli posticci, realizzati con fibre vegetali e fosse oculari dipinte di nero per accrescere l’espressività. La collezione più ricca è certo quella del Museo carnico delle arti popolari “Michele Gortani” di Tolmezzo: oltre una cinquantina le maschere realizzate tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo e raccolte nelle vallate della Carnia da Michele Gortani e dall’amico pittore Giovanni Napoleone Pellis. 

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